Salumi tipici valtellinesi

0 Commenti | Autore: Enrico

Una vecchia leggenda valtellinese narra che Cristoforo Colombo quando sbarcò in America incontrò degli abitanti di Grosio intenti a vendere maiali agli Indiani.

Sicuramente la macellazione dei suini in Valtellina è una tradizione molto antica: sono presenti in dei documenti del 1700 c’è scritto che dei luganegat di Morbegno e Bormio partivano dalle montagne in pieno inverno per dedicarsi alla maciglia nella zona veneta e ferrarese.

Inoltre, si dice che un salume simile al salame ferrarese fosse conservato e prodotto nella zona di Morbegno, precisamente sotto cenere. Se l’utensile tipico della cucina valtellinese è il paiolo, ci sarà un motivo: non serviva solo per mescolare la polenta, bensì per insaporire i pastoni per i maiali cuocendo farina, crusca, patate o castagne, e venivano serviti tiepidi alle bestiole, le quali si precipitavano ad assaltare il rancio. Spesso veniva aggiunto qualche germoglio di ortica, utili anche per preparare le tipiche minestre di montagna, e i cardi venivano raccolti apposta per farli fermentare e darli in pasto ai maiali, coì come il siero che avanzava dalla produzione dei vari formaggi.

Quando il maiale superava i 200 chili, era pronto per essere macellato. La giornata della macellazione era prima di fatica poi una festa. Si tenga presente che si uccideva un maiale all’anno e di sicuro di lui non si buttava via nulla: si sezionava la bestia con molta cura e si producevano i diversi insaccati.

Le carni migliori erano riservate per produrre salami, i salami di testa con la carne della testa e la cotenna, i cotechini con la carne di scarto e la cotenna, il cotecotto sempre con cotenna, carne magra suina e un po’ di carne bovina, le salsicce di sangue con il sangue opportunamente cotto e poca carne, i bastardelli con le carni che avanzavano (capra, suino, bovino, manzo…) impastate con vino e spezie.

E ancora la mortadella, usando il fegato, la carne e il lardo bagnati con vin brulè. Alcune parti invece venivano stagionate intere dopo essere state messe in salamoia con vino, spezie e sale: è il caso del culatello, della pancetta, della coppa e della bondiola, ossia il collo insaccato con la vescica del maiale.

Il grasso avanzato veniva utilizzato come condimento, oppure per preparare il pane delle feste. Con cavoli cotti e macinati con il lardo e spezie si preparava il salame di rape di Livigno. Non era certo una passeggiata uccidere, macellare il maiale e poi preparare il tutto. Per fortuna le famiglie di un tempo erano numerose, e si usava riunirsi a fine giornata mangiando le zampe di maiale con patate e castagne bianche(pesciò con tartufui e castegni). In montagna si usa ancora la carne secca e gli abitanti della Valtellina la consumano da sempre: capitava che un animale, in alta montagna, morisse in maniera tragica o per malattia. A malincuore, veniva macellato e disossato, la carne tagliata a fette sottili e fatta essiccare al sole sui tetti delle baite.

Si consumava così o cotta sulla brace o messa nella polenta. Grazie a questa cultura si sono sviluppati i metodi di trasformazione di oggi. Ora sono le bresaole, le slinzeghe e i violini le espressioni di una tradizione che, nel tempo, si è sempre più affinata riuscendo a sfruttare al meglio le caratteristiche climatiche della provincia di Sondrio.

La bresaola oggi è composta da carne bovina e utilizzando tagli pregiati della coscia del manzo; le slinzeghe, prima fatte di carne di cavallo, ora sono gli scarti della bresaola, mentre il violino viene prodotto usando la coscia o dalla spalla di capra o di pecora. Da un po’ di anni si trovano in giro anche quelli di capriolo o camoscio. Si affetta, secondo la tradizione, appoggiando il salume su una spalla e utilizzando il coltello quasi a mo' di archetto, proprio come se si suonasse il violino.

 


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